Un seno poco sviluppato o poco voluminoso può assumere un aspetto migliore grazie alla mastoplastica additiva , intervento che ha come scopo quello di aumentare il volume del seno attraverso l’inserimento di apposite protesi .
Le tecniche a disposizione per questo tipo di intervento fino a poco tempo fa si limitavano alla tecnica sottoghiandolare , dove la protesi veniva inserita sotto la ghiandola mammaria, e quella sottomuscolare , dove la protesi veniva inserita sotto il muscolo grande pettorale.
Nel corso degli anni si è diffusa nella comunità scientifica la consapevolezza che sia l’una e l’altra tecnica hanno dei limiti legati al posizionamento dell’impianto.
Nel primo caso (impianto sottoghiandolare) la protesi è troppo superficiale limitando il chirurgo nella scelta dell’impianto , soprattutto riguardo le dimensioni , infatti sono sconsigliati impianti troppo grandi in quanto sarebbero molto visibili e cosa molto più importante da sottolineare è il fatto che gli esami diagnostici , come la mammografia, risultano meno agevoli lasciando una percentuale, per quanto minima ,di mammella non valutabile al cento per cento.
Inoltre la possibilità di contrattura capsulare precoce (entro i dieci anni ) è maggiore.
Nel secondo caso (mastoplastica additiva sottomuscolare), l’impianto è ricoperto completamente dal muscolo , questa tecnica risolve i problemi di visibilità dell’impianto e le difficoltà diagnostiche esaminate nella tecnica sottoghiandolare ma evidenzia un altro limite , quello riferito al controllo della forma soprattutto al polo inferiore , dove la protesi essendo incarcerata dal muscolo non scorre liberamente e spesso si assiste ad un dislocamento dell’impianto verso l’alto .
Per risolvere questi limiti esiste una tecnica chiamata dual-plane sperimentata per la prima volta da Tebetz e poi ripresa dal Prof. Maurizio Nava , consiste nel posizionare l’impianto per tre quarti sottomuscolare e nella restante parte ,a livello del solco sottomammario, sottoghiandolare .
Tutto questo ci permette di avere un impianto ben protetto dal muscolo e quindi meno visibile e nello stesso tempo di avere un aspetto molto naturale soprattutto inferiormente avendo inoltre una mammella perfettamente esaminabile con gli esami diagnostici di routine .
Le vie di accesso .
I vari impianti in commercio sono molteplici , abbiamo protesi rotonde , anatomiche , più o meno proiettate e di varie forme .
Quello su cui mi soffermerei più attentamente è la via di accesso , ossia quella parte del seno attraverso cui il chirurgo deve inserire l’impianto . Le vie di accesso sono sostanzialmente quattro :periareolare(incisione attorno all’areola), solco sottomammario , ascellare e ombelicale .
Tralascerei la via ombelicale , in quanto tecnica che prevede l’inserimento di protesi saline e per nulla usata in europa .
Via ascellare : tecnica usata per rendere meno visibile la cicatrice ma con grossi limiti riguardanti il controllo della forma .
Via periareolare : ottima via di accesso ma subordinata alla grandezza dell’areola , limita la scelta delle protesi soprattutto se si desiderano protesi più grandi , e cosa più importante da sottolineare alla paziente è il rischio di non potere allattare , evenienza data dal fatto che l’incisione dall’areola seziona i dotti galattofori riducendo la sensibilità della stessa e un rischio di non potere allattare .
Via sottomammaria : accesso migliore per quanto mi riguarda , si gestisce meglio l’intervento , la forma del seno e soprattutto non limita la grandezza dell’impianto . La cicatrice è nascosta nel solco sottomammario e nella maggior parte dei casi è quasi invisibile .
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Chirurgia plastica,Medicina estetica
Catania (CT)